Lecco: medaglia d'oro a Angelo Castelnuovo, deportato in Germania. 'Non ne parlò mai ma sarebbe orgoglioso'

Anche quest’anno in città la celebrazione della Giornata della Memoria ha visto la consegna di una medaglia d’oro in ricordo dei deportati lecchesi nei campi di concentramento tedeschi, per molti dei quali le vicende sono rimaste nell’ombra per tutti questi – quasi - ottant’anni e che soltanto le ricerche effettuate da Augusto Giuseppe Amanti, esponente valsassinese dell’Anpi, hanno permesso di venire alla luce. Un lavoro di ricerca avviato ormai diversi anni fa e che ogni 27 gennaio vede l’emergere dall’oblio di nuovi volti e nuove vicende.

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Quest’anno sono complessivamente venti le medaglia assegnate e consegnate dal prefetto Castrese De Rosa (QUI). Le restrizioni per il covid hanno naturalmente sconsigliato l’organizzazione di un’unica cerimonia ed è stata quindi preferita la formula di singoli momenti nei vari Comuni.

Da sinistra Augusto Amanti, Mauro Gattinoni, Stefano Castelnuovo, Walter Castelnuovo e Castrese De Rosa

Nel pomeriggio di oggi, il ritrovo è stato in municipio a Lecco per la medaglia alla memoria di Angelo Castelnuovo, internato militare nel campo di concentramento di Dessan in Germania. Nato a Germanedo il 9 luglio 1923, venne chiamato alle armi il 7 gennaio 1943. Arruolato in fanteria, partecipò il 31° Reggimento "Siena" alla difesa territoriale di Napoli dal 25 giugno al 5 luglio 1943. Il successivo 7 luglio venne imbarcato da Lecce per l'isola di Creta dove venne fatto prigioniero dai tedeschi il 9 settembre 1943 e internato in Germania. Liberato dalle truppe alleate a fine guerra, venne rimpatriato il 16 luglio 1945.
Essendo ormai deceduto – il 16 febbraio 1989 – la medaglia è stata consegnata ai famigliari: presenti il figlio Valter e il nipote Stefano.

Angelo Castelnuovo

Nel suo breve discorso, il sindaco Mauro Gattinoni ha parlato di Angelo Castelnuovo come una delle persone che ha pagato con la propria drammatica esperienza la costruzione di un pezzo di Storia che è stato il peggiore della storia moderna. L’occasione è servita al primo cittadino per ricordare Pietro e Lino Ciceri, padre e figlio, uccisi dai nazisti il primo a Mauthausen e il secondo a Fossoli, che oggi sono ricordati dalle pietre di inciampo posizionati di fronte a quella che era la loro abitazione lungo la scalinata della Madonna di Lourdes ad Acquate. Ma ha ricordato anche la figura di Pino Galbani, operaio arrestato e deportato dopo gli scioperi del 7 marzo 1944: egli riuscì a sopravvivere e a tornare a casa, ma per molto tempo non volle parlare della propria esperienza «perché si vergognava» fino a quando decise che fosse arrivato il momento di far conoscere ai giovani quanto accaduto e cominciò allora a girare per le scuole e a incontrare gli studenti. E’ deceduto cinque anni fa.
Soprattutto, però, il sindaco ha voluto ricordare come la memoria non sia mai troppo forte per evitare che quanto accaduto torni ad accadere: «Pensiamo a quanto succede oggi ai confini della Libia, a quanto succede sulla rotta balcanica, a quanto è successo qualche anno fa in Jugoslavia».

A questo proposito è stato Augusto Amanti a ricordare episodi recenti che dimostrano come quanto accaduto può tornare ad accadere: il ragazzino insultato perché ebreo o l’anziana senatrice Liliana Segre costretta a girare scortata.
Tra l’altro, proprio nella seduta consiliare di lunedì, è stata ufficialmente consegnata a Segre la cittadinanza onoraria lecchese. Da parte sua, Amanti ha anche ricordato come, nel periodo di caccia all’ebreo da parte dei nazifascisti, una Liliana Segre ancora bambina con la propria famiglia venne ospitata e nascosta per un paio di mesi a Ballabio.
In quanto ad Angelo Castelnuovo, Amanti ne ha parlato come uno dei molti militari italiani che, all’indomani dell’8 settembre 1943, preferirono i lavori forzati, la fame e il freddo dei lager, per rispettare il giuramento di fedeltà alla Patria.
Alla sua memoria – ha quindi detto il prefetto De Rosa – va quindi il riconoscimento di un’intera comunmità.

E’ stato il sindaco Gattinoni a consegnare nelle mani del nipote di Castelnuovo, Stefano, la medaglia d’oro per quell’anno e mezzo in Germania: «Riuscì a sopravvivere – il racconto del nipote – lavorando nei campi dei contadini tedeschi. Tornò, ma non volle mai raccontare. Forse per pudore o forse per vergogna. O forse per non trasmettere ai propri cari il dolore che ancora provava ripensando a quei momenti. Io non ho avuto modo di parlargli, ero ancora un bambino, ma credo che oggi sarebbe contento ed orgoglioso per il fatto che siamo qui oggi a commemorare lui e quelli come lui».
Dario Cercek
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