In viaggio a tempo indeterminato/208: una storia sconosciuta
Cupole di cemento che sbucano tra gli ulivi, davanti alle spiagge, tra i monti o nel centro della città.
Alcuni sono piccoli e sembrano forni a legna per la pizza.
Altri, invece, sono talmente grandi che dentro ci si potrebbe perdere.
Sinceramente, non me lo aspettavo proprio, sarà perché della storia dell'Albania conoscevo ben poco prima di venirci.
A scuola non credo di averne mai sentito parlare, altrimenti penso mi ricorderei qualcosa di una dittatura a pochi km da casa mia.
In questi giorni ho fatto qualche ricerca ed è venuto fuori che di fronte all'Italia, tra il 1946 e il 1991, c'era un Paese chiuso completamente al mondo esterno, con campi di lavoro per i prigionieri politici e una dittatura che controllava ogni aspetto della vita delle persone.
Una sorta di Corea del Nord che si affacciava sull'Adriatico.
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Ho provato ad immaginare per un istante di vivere in un Paese dove non ci sono religioni perché sono vietate.
In un Paese dove accendere la TV vuol dire guardare solo programmi di propaganda e anche la radio non riserva particolari sorprese.
Un Paese dove tutto quello che è tuo improvvisamente diventa dello Stato.
Un Paese in cui a scuola ti insegnano quanto sei fortunato a vivere in un luogo prospero dove a tutto pensa il regime.
Un Paese dove alcune zone della tua città diventano sospettosamente inaccessibili.
Un Paese da cui non puoi uscire.
Ho provato ad immaginarlo ma sinceramente non ci sono riuscita.
Perché anche solo pensarlo sembra folle, figuriamoci come deve essere viverlo.
Tutti gli albanesi dell'età dei miei genitori, però, lo sanno perfettamente.
Perché mentre in buona parte dell'Europa si festeggiava la fine della guerra, in Albania iniziava una dittatura.
Negli anni ‘40, nel periodo dell'occupazione fascista italiana, in Albania nacque il Movimento di Liberazione Nazionale composto da partigiani e partigiane che combattevano per la libertà del Paese. Al termine dell'occupazione straniera, si instaurò un governo comunista con a capo Enver Hoxha.
Hoxha seguì fin da subito il modello politico sovietico che aveva studiato durante un prolungato soggiorno in Russia.
Iniziò così per l'Albania uno di quei capitoli della storia che non si pensa possano mai succedere e invece...
45 anni, tutto questo è durato 45 anni.
Ma la cosa che mi sconvolge di più è che sia successo in Europa, vicinissimo all'Italia.
Talmente vicino che agli albanesi bastava orientare l'antenna TV in una certa direzione per guardare la Carrà ballare con l'ombelico scoperto o ascoltare Mike Bongiorno urlare "allegria!".
Chissà come stridevano quelle risate e gli applausi del pubblico con la situazione fuori.
Ovviamente guardare la TV italiana era considerato reato, quindi per orientare l'antenna si doveva essere d'accordo tra vicini. Un'operazione del genere, se scoperta dalla polizia o dal partito, poteva costare all'intera famiglia la galera o i campi di lavoro.
Sì, i campi di lavoro.
Perché Hoxha durante la sua dittatura ne istituì vari nel Paese.
Lo scopo ufficiale di questi campi era la "rieducazione e riabilitazione" attraverso il lavoro e la sofferenza. Si conta che circa 34.000 persone furono detenute e la pena da scontare erano lavori finalizzati alla costruzione di opere pubbliche. Le condizioni erano disumane e moltissimi morirono per maltrattamenti, torture o malattie.
Mi vengono i brividi, non solo per l'orrore capace di pensare la mente umana, ma anche perché qualcosa di tragicamente simile era successo pochi anni prima con il nazismo.
Di quello però si sa molto, dell'Albania, invece, sembra non interessasse a nessuno.
O forse a fare la differenza fu l'ossessione di Hoxha per l'occidente, visto come un nemico da screditare e da cui difendersi.
L'Albania si chiuse completamente al mondo esterno, diventando una sorta di buco nero dei Balcani.
Nessuno sapeva cosa stesse succedendo dentro quei confini.
E questo spiega anche la presenza di tutti quei bunker disseminati nel Paese.
Sarebbero serviti per difendersi in caso di attacco dal nemico.
Oggi, a vent'anni esatti dal termine di quella folle dittatura, quei bunker si sono trasformati.
Alcuni sono diventati musei da visitare per non dimenticare.
Di altri se ne sta occupando la natura che li sta coprendo e mimetizzando.
Altri, la maggior parte, sono abbandonati a loro stessi, come se nessuno volesse averne più nulla a che fare.
L'Albania mi era piaciuta fin da subito, fin dal primo "Ciao ragazzi, se vi serve aiuto io parlo italiano". Ancora non conoscevo la sua storia, non avevo ancora visto le sue crepe nascoste dietro quella bandiera rossa con un aquila nera che sventola orgogliosa.
E ora, dopo aver letto un po' del suo passato, apprezzo ancora di più la forza che mostra nel presente.
Un Paese in crescita, con l'evidente voglia di riprendersi quello che per quarant'anni ha perso.