In viaggio a tempo indeterminato/203: Sarajevo con la neve...a ottobre
Tante cose mi sarei aspettata di trovare a Sarajevo ma di sicuro non la neve, a ottobre.
L'ultima volta che avevo visto nevicare eravamo a Chicago lo scorso anno, più o meno nello stesso periodo.
Una perturbazione gelida quella volta, una perturbazione gelida questa volta... Che sia un caso?
Sarajevo, è sicuro, non me la scorderò mai.
E non è tanto per la neve, quanto piuttosto per le emozioni che mi ha provocato.
Arrivando dalla periferia, su quelle strade larghe con il tram che corre in mezzo, potrebbe quasi sembrare una comune grande città.
Palazzoni alti e tutti uguali.
Macchine che scalpitano ai semafori rossi.
Parcheggi enormi tutti occupati.
Niente di affascinante o originale ad un primo sguardo, ma se si osserva meglio si nota che c'è qualcosa di particolare.
Dei buchi, tanti, come se qualcuno avesse versato un barattolo di vernice grigia e quelli fossero gli schizzi.
Sono sulle facciate delle case, sulle mura dei palazzoni con i balconi tutti uguali.
Sono lì, segni di un passato così recente che sembra impossibile da dimenticare.
Un periodo buio proprio come il centro di quei buchi sui palazzi.
Sarajevo, la città palazzo, è stata la più assediata della storia moderna.
Più di mille giorni dal 1992 al 1995.
Con i soldati appostati sulle colline a sparare su tutto e tutti.
E se chiudo gli occhi, mi sembra di immaginare il silenzio della città dopo il fragore degli spari.
Mi immagino le urla, i pianti, le grida.
Vedo quei buchi e mi immagino le persone dentro quelle case.
Me li posso solo immaginare perché ho avuto la fortuna di non viverle sulla mia pelle.
Ieri parlavo con i miei zii al telefono e loro si ricordavano le immagini di quella guerra.
Le avevano viste al telegiornale e si erano messi a piangere vedendo quelle persone morire nelle piazze.
Io non le ricordo, avevo poco più di 6 anni quando scoppiava quella guerra.
La Jugoslavia non sapevo nemmeno dove fosse finché un giorno, nella mia classe, arrivò una bambina.
Si chiamava Angela, proprio come me.
E diventammo amiche.
Passavamo i pomeriggi insieme a fare i compiti, a giocare, a improvvisare mercatini in giardino.
Veniva da Belgrado e se ne era andata con la madre perché laggiù c'era la guerra.
Fu quella la prima volta che sentii parlare di Ex-jugoslavia e anche di guerra.
E mi ricordo che vedendo Angela, una bambina esattamente come me, pensai "caspita la guerra può colpire chiunque e non è poi molto lontana da casa mia".
Credo che quei buchi sui palazzi a Sarajevo li abbiano lasciati per me e le generazioni dopo.
Per noi che non abbiamo visto con i nostri occhi quanto la guerra possa essere orribile.
Per noi, per non dimenticare che un conflitto lascia dei segni indelebili che non si cancellano con il tempo.
Sarajevo, però non me la ricorderò solo per i suoi giorni neri, anzi.
Ciò che rimarrà più viva nella mia mente sarà la capacità di questa città di farmi viaggiare tra mondi lontani.
Sì perché il centro storico di Sarajevo ha una linea al centro che lo divide.
Da un lato l'ovest con le chiese ortodosse e i palazzi in stile barocco.
Dall'altro l'est, con le moschee e i negozi che vendono tappeti e lampade.
Da un lato sembra di essere in una città europea, dall'altro ci sente in Oriente, in Turchia.
Non credo di aver mai visto una città così.
C'è un'aria strana a Sarajevo. Un'aria che profuma di culture che si mischiano, di diversità che si fondono, di bellezza che si oppone al grigiore.
E poi c'è profumo di neve.
La mia prima neve quest'anno.
L'ultima volta che avevo visto nevicare eravamo a Chicago lo scorso anno, più o meno nello stesso periodo.
Una perturbazione gelida quella volta, una perturbazione gelida questa volta... Che sia un caso?
VIDEO:
Sarajevo, è sicuro, non me la scorderò mai.
E non è tanto per la neve, quanto piuttosto per le emozioni che mi ha provocato.
Arrivando dalla periferia, su quelle strade larghe con il tram che corre in mezzo, potrebbe quasi sembrare una comune grande città.
Palazzoni alti e tutti uguali.
Macchine che scalpitano ai semafori rossi.
Parcheggi enormi tutti occupati.
Niente di affascinante o originale ad un primo sguardo, ma se si osserva meglio si nota che c'è qualcosa di particolare.
Dei buchi, tanti, come se qualcuno avesse versato un barattolo di vernice grigia e quelli fossero gli schizzi.
Sono sulle facciate delle case, sulle mura dei palazzoni con i balconi tutti uguali.
Sono lì, segni di un passato così recente che sembra impossibile da dimenticare.
Un periodo buio proprio come il centro di quei buchi sui palazzi.
Sarajevo, la città palazzo, è stata la più assediata della storia moderna.
Più di mille giorni dal 1992 al 1995.
Con i soldati appostati sulle colline a sparare su tutto e tutti.
E se chiudo gli occhi, mi sembra di immaginare il silenzio della città dopo il fragore degli spari.
Mi immagino le urla, i pianti, le grida.
Vedo quei buchi e mi immagino le persone dentro quelle case.
Me li posso solo immaginare perché ho avuto la fortuna di non viverle sulla mia pelle.
Ieri parlavo con i miei zii al telefono e loro si ricordavano le immagini di quella guerra.
Le avevano viste al telegiornale e si erano messi a piangere vedendo quelle persone morire nelle piazze.
Io non le ricordo, avevo poco più di 6 anni quando scoppiava quella guerra.
La Jugoslavia non sapevo nemmeno dove fosse finché un giorno, nella mia classe, arrivò una bambina.
Si chiamava Angela, proprio come me.
E diventammo amiche.
Passavamo i pomeriggi insieme a fare i compiti, a giocare, a improvvisare mercatini in giardino.
Veniva da Belgrado e se ne era andata con la madre perché laggiù c'era la guerra.
Fu quella la prima volta che sentii parlare di Ex-jugoslavia e anche di guerra.
E mi ricordo che vedendo Angela, una bambina esattamente come me, pensai "caspita la guerra può colpire chiunque e non è poi molto lontana da casa mia".
Credo che quei buchi sui palazzi a Sarajevo li abbiano lasciati per me e le generazioni dopo.
Per noi che non abbiamo visto con i nostri occhi quanto la guerra possa essere orribile.
Per noi, per non dimenticare che un conflitto lascia dei segni indelebili che non si cancellano con il tempo.
Sarajevo, però non me la ricorderò solo per i suoi giorni neri, anzi.
Ciò che rimarrà più viva nella mia mente sarà la capacità di questa città di farmi viaggiare tra mondi lontani.
Sì perché il centro storico di Sarajevo ha una linea al centro che lo divide.
Da un lato l'ovest con le chiese ortodosse e i palazzi in stile barocco.
Dall'altro l'est, con le moschee e i negozi che vendono tappeti e lampade.
Da un lato sembra di essere in una città europea, dall'altro ci sente in Oriente, in Turchia.
Non credo di aver mai visto una città così.
C'è un'aria strana a Sarajevo. Un'aria che profuma di culture che si mischiano, di diversità che si fondono, di bellezza che si oppone al grigiore.
E poi c'è profumo di neve.
La mia prima neve quest'anno.
Angela (e Paolo)