In viaggio a tempo indeterminato/190: addio, Carmencita

300 sono i giorni che abbiamo passato a bordo di Carmencita.
Se ci penso che abbiamo vissuto in una macchina per tutto questo tempo, non mi sembra vero.
A rifletterci razionalmente, non so come sia stato possibile farlo.
Dormire su una struttura in legno costruita da noi due che di falegnameria non ne sappiamo nulla.
Cucinare con un fornelletto e una bombola del gas che all’inizio mi faceva una paura.
Lanciare delle infradito di gomma ogni volta che aprivamo la portiera.
La condensa la mattina.
Il caldo torrido e le zanzare.
Il freddo gelido che congela i tergicristalli.
Ma il bello della vita è proprio non essere sempre razionali.
Quindi quest’avventura a bordo di una macchina rossa me la ricorderò per sempre come una follia bella, a volte scomoda, ma talmente intensa e inaspettata da non poter essere paragonata a nulla che conoscessi prima.
Sì, “ricorderò” perché qualche giorno fa la nostra casa su 4 ruote l’abbiamo venduta.
Lei cambierà passaporto e da texana diventerà guatemalteca.
Noi cambieremo latitudine, mezzo di trasporto e abitudini.


Devo essere sincera, in questi 300 giorni Carmencita l’ho odiata tanto quanto l’ho amata.
Non perché si comportasse male, anzi. E’ sempre stata una fedele alleata in grado di percorrere qualsiasi tipo di strada. Non le importava se la pendenza fosse del 65% o se le buche fossero voragini che conducevano a mondi paralleli.
Non le interessava nemmeno che ci fosse un fiume da attraversare.
Con la sabbia non andava molto d’accordo e nemmeno i chiodi le sono mai piaciuti particolarmente, ma come biasimarla.
Queste sue doti me la facevano amare. Mi ha sempre dato molta sicurezza sapere che ci avrebbe portato a destinazione. E ogni volta che raggiungevamo un posto assurdamente bello, magari disperso km e km dalla civiltà, la ringraziavo la Carmencita. “Brava Carmen!” gridavamo in coro io e Paolo, come se lei potesse ascoltarci.



A farmela odiare, invece, era il fatto che per colpa sua io dovevo affrontare alcune delle mie paure. Mi riferisco a quelle più profonde e nascoste che uno non sa di avere.
Come dormire in una macchina, nel bel mezzo del nulla.
Non è una di quelle paure classiche, come il buio o i ragni, perché difficilmente si dormirà in macchina, soprattutto per molto tempo.
Le prime volte è stato complicato. Sdraiata nel letto, passavo il tempo a guardare fuori dal finestrino. Scrutavo ogni luce e sobbalzavo a ogni rumore, finché non crollavo addormentata per la stanchezza. Tenevo le cose di valore nascoste nella fodera cuscino e immaginavo scenari da film thriller. Quei pochi metri quadri di macchina non mi facevano sentire sicura, come se non bastassero a tenere fuori le paure. Poi piano piano mi sono abituata. Ho iniziato a capire che non c’erano mostri nascosti là fuori e che Carmencita poteva essere un riparo sicuro. E le notti sono diventate più dolci, serene e cullate dal russare di Paolo.



L’altra paura che Carmencita mi ha fatto superare è quella della solitudine. Viaggiare con un mezzo in luoghi dalla natura selvaggia e desolata, ti porta spesso ad essere solo con te stesso. Può succedere di non incontrare nessuno per giorni. Io questa cosa l’ho sempre odiata. Mi fa sentire bene sapere che c’è qualcuno vicino, incrociare uno sguardo o un sorriso, scambiare due parole.
Per questo ho sempre amato quei Paesi dove sei circondato dalla vita, dagli incontri, dagli eventi.
Amore e odio verso una macchina.
Anche solo pensarlo mi sembra assurdo e insensato.
Una macchina alla fine è solo un insieme di lamiere e ingranaggi senza sentimenti.
Ma se in quell’ammasso di ferraglia riponi le tue paure, i tuoi sogni e ci costruisci i ricordi di una folla avventura, ecco che anche solo lasciarla nelle mani di qualcun altro ti fa commuovere.
O forse ti emozioni tanto, solo perché sai che chiudendo quella portiera hai anche chiuso un capitolo della tua vita.
Angela e Paolo
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