PAROLE CHE PARLANO/2
Ci siamo ormai tristemente abituati a questi termini che ci richiamano subito alla mente le malattie infettive trasmesse da virus, batteri o altri patogeni. Anzi, sappiamo perfino che vengono usati in base al grado di pericolo: l'OMS parla di epidemia quando il rischio è elevato, ma ancora contenibile perché la diffusione si ritiene limitata nel tempo e nello spazio; invece proclama la pandemia quando l'agente infettivo è ormai talmente diffuso a livello mondiale che il pericolo che sfugga al controllo è altissimo, anche per mancanza di immunizzazione di massa. Non c'è dubbio che bisogna avere paura delle malattie, come quella causata da un essere invisibile come il coronavirus, ma non bisognerebbe spaventarsi delle parole.
I termini epidemia e pandemia vogliono dire quasi la stessa cosa: sui popoli (epi=sopra demos=popolo), la prima, tutti i popoli (pan=tutto), la seconda. È solo una questione convenzionale, e ormai li riferiamo quasi esclusivamente alle malattie contagiose e alla loro diffusione. Ma non sarebbe improprio utilizzarli in altri campi come, ad esempio, quello del sapere e della cultura. Bisognerebbe infatti chiedersi se anche l'ignoranza, la sottocultura, la cialtroneria, la superficialità, che trasformano tanti di noi in emeriti imbecilli (ne parleremo un'altra volta), possano essere altamente contagiose come i virus. Sarebbe drammatico se si diffondessero come un'epidemia o peggio una pandemia.
Dimenticavo: il pandemonio è il consiglio di tutti i demoni, come ci spiega J. Milton nel suo Paradiso perduto.
Rubrica a cura di Dino Ticli