In viaggio a tempo indeterminato/145: vivere su un arcobaleno
Il Messico è pericoloso?
Ce lo hanno chiesto più volte durante questi nove mesi.
Ma anche prima di arrivare in molti, soprattutto negli USA, appena pronunciavamo la parola Messico scuotevano la testa seguita da un “be very careful” (siate molto prudenti) che non prometteva nulla di buono.
Dare una risposta generale a questa domanda non è mai semplice, soprattutto per un Paese la cui immagine è spesso associata a narcotraffico e crimini vari.
Andando poi a fare una ricerca su Google, tra le prime 10 città più pericolose nel mondo ben 5 sono messicane, con Los Cabos a dominare la classifica, seguita dalla famigerata Tijuana che ben conosciamo, dato che ha segnato in modo traumatico l’inizio del nostro “periodo messicano”.
Se ci aggiungiamo anche che è l’unico Paese nel nostro giro del mondo dove siamo stati derubati, direi che il quadro potrebbe sembrare tutt’altro che roseo.
In realtà, furto a parte, sono pochissime le volte in cui non ci siamo sentiti al sicuro in Messico.
Un Paese di 1.973.000 km² (6,5 volte l’Italia) ha moltissime differenze interne ed è, quindi, impossibile generalizzare.
Ci sono zone pericolose, come Chihuahua al nord al confine con gli USA, uno Stato che oltre a dare il nome a dei minuscoli cagnolini e a una canzone tormentone di qualche anno fa, è stato varie volte al centro di scontri tra “cartelli” per il controllo dei traffici di droga internazionali.
Ma ci sono anche moltissime zone tranquille, dove la vita scorre tutto sommato serena.
Prima di salutare il Messico, abbiamo deciso di passare qualche giorno nello Stato più sicuro del Paese: Campeche.
Appena sbarcati dal bus a San Francisco de Campeche, la capitale dell’omonima regione, non è che si notasse subito una differenza con altre città messicane.
Caldo atroce, musica del panettiere che si diffonde nelle strade semi deserte, serrande abbassate a metà.
Insomma, normale amministrazione e nulla che facesse pensare di trovarsi nello Stato più sicuro del Messico, che per sicuro si intende che non ci sono sequestri.
Ma dopo aver lasciato gli zaini alla guesthouse ed esserci messi ad esplorare le vie del centro, la nostra opinione è cambiata.
Se dovessi immaginarmi un villaggio costruito su un arcobaleno, me lo immaginerei proprio come Campeche.
Ok, lo so, ho una fervida immaginazione.
Case a un piano, ognuna con una facciata di un diverso colore, che si rincorrono lungo strette vie senza nome, fino ad arrivare alla piazza centrale.
Lì, una imponente chiesa dal lunghissimo nome irricordabile (Catedral de Nuestra Señora de la Inmaculada Concepción) osserva dall’alto la vita calma e tranquilla che scorre sotto i portici, tra le colonne di marmo, i signori che lucidano le scarpe, le signore che fanno acquisti e i mariachi che suonano.
Una cinta di mura a difenderla dall’esterno e, a pochi passi, il mare che ogni sera si colora di rosa per accogliere lo spettacolo del tramonto.
Vivace, allegra, un po’ chic, Campeche si piazza subito ai primi posti nella classifica delle città più belle che abbia visto in Messico.
E a guardarla, viene davvero da pensare che qui si possa vivere tranquilli, rilassati e al sicuro.
Non è solo per i colori e le chiese, ma è anche per le persone che Campeche mi ha colpito.
Ci siamo fermati a chiacchierare con la signora del negozietto di patatine, con il ragazzo che vendeva i pomodori al mercato, con il gelataio e, Paolo, persino con la parrucchiera che per 1€ gli ha fatto un taglio di capelli niente male.
E tutti ci hanno fatto sentire i benvenuti nella loro città, nonostante la situazione particolare che stiamo vivendo.
Campeche, tra l’altro, è anche il primo Stato del Messico ad essere passato al semaforo giallo per il basso numero di contagi. Insomma, sicuro da tutti i punti di vista.
Ma c’è di più perché qui, per la prima volta, dopo 9 mesi, miracolosamente, le auto si fermavano per farci attraversare invece di accelerare.
Ah, deve essere proprio bello vivere su un arcobaleno!
Ce lo hanno chiesto più volte durante questi nove mesi.
Ma anche prima di arrivare in molti, soprattutto negli USA, appena pronunciavamo la parola Messico scuotevano la testa seguita da un “be very careful” (siate molto prudenti) che non prometteva nulla di buono.
Dare una risposta generale a questa domanda non è mai semplice, soprattutto per un Paese la cui immagine è spesso associata a narcotraffico e crimini vari.
Andando poi a fare una ricerca su Google, tra le prime 10 città più pericolose nel mondo ben 5 sono messicane, con Los Cabos a dominare la classifica, seguita dalla famigerata Tijuana che ben conosciamo, dato che ha segnato in modo traumatico l’inizio del nostro “periodo messicano”.
Se ci aggiungiamo anche che è l’unico Paese nel nostro giro del mondo dove siamo stati derubati, direi che il quadro potrebbe sembrare tutt’altro che roseo.
In realtà, furto a parte, sono pochissime le volte in cui non ci siamo sentiti al sicuro in Messico.
Un Paese di 1.973.000 km² (6,5 volte l’Italia) ha moltissime differenze interne ed è, quindi, impossibile generalizzare.
Ci sono zone pericolose, come Chihuahua al nord al confine con gli USA, uno Stato che oltre a dare il nome a dei minuscoli cagnolini e a una canzone tormentone di qualche anno fa, è stato varie volte al centro di scontri tra “cartelli” per il controllo dei traffici di droga internazionali.
Ma ci sono anche moltissime zone tranquille, dove la vita scorre tutto sommato serena.
Prima di salutare il Messico, abbiamo deciso di passare qualche giorno nello Stato più sicuro del Paese: Campeche.
VIDEO
Appena sbarcati dal bus a San Francisco de Campeche, la capitale dell’omonima regione, non è che si notasse subito una differenza con altre città messicane.
Caldo atroce, musica del panettiere che si diffonde nelle strade semi deserte, serrande abbassate a metà.
Insomma, normale amministrazione e nulla che facesse pensare di trovarsi nello Stato più sicuro del Messico, che per sicuro si intende che non ci sono sequestri.
Ma dopo aver lasciato gli zaini alla guesthouse ed esserci messi ad esplorare le vie del centro, la nostra opinione è cambiata.
Se dovessi immaginarmi un villaggio costruito su un arcobaleno, me lo immaginerei proprio come Campeche.
Ok, lo so, ho una fervida immaginazione.
Ma il fatto che in cielo ci fosse proprio un arcobaleno quando ci siamo messi a camminare… io l’ho letto un po’ come un segnale, no?
Case a un piano, ognuna con una facciata di un diverso colore, che si rincorrono lungo strette vie senza nome, fino ad arrivare alla piazza centrale.
Lì, una imponente chiesa dal lunghissimo nome irricordabile (Catedral de Nuestra Señora de la Inmaculada Concepción) osserva dall’alto la vita calma e tranquilla che scorre sotto i portici, tra le colonne di marmo, i signori che lucidano le scarpe, le signore che fanno acquisti e i mariachi che suonano.
Una cinta di mura a difenderla dall’esterno e, a pochi passi, il mare che ogni sera si colora di rosa per accogliere lo spettacolo del tramonto.
Vivace, allegra, un po’ chic, Campeche si piazza subito ai primi posti nella classifica delle città più belle che abbia visto in Messico.
E a guardarla, viene davvero da pensare che qui si possa vivere tranquilli, rilassati e al sicuro.
Non è solo per i colori e le chiese, ma è anche per le persone che Campeche mi ha colpito.
Ci siamo fermati a chiacchierare con la signora del negozietto di patatine, con il ragazzo che vendeva i pomodori al mercato, con il gelataio e, Paolo, persino con la parrucchiera che per 1€ gli ha fatto un taglio di capelli niente male.
E tutti ci hanno fatto sentire i benvenuti nella loro città, nonostante la situazione particolare che stiamo vivendo.
Campeche, tra l’altro, è anche il primo Stato del Messico ad essere passato al semaforo giallo per il basso numero di contagi. Insomma, sicuro da tutti i punti di vista.
Ma c’è di più perché qui, per la prima volta, dopo 9 mesi, miracolosamente, le auto si fermavano per farci attraversare invece di accelerare.
Ah, deve essere proprio bello vivere su un arcobaleno!
Angela e Paolo